Thierry Panadero, Vice Presidente di Case IH e Steyr
Al Sima di Parigi il Vice Presidente di Case IH e Steyr ci parla della nuova organizzazione in casa CNH Industrial e di come i brand da lui guidati puntino sulla sostenibilità e sull’innovazione per imporsi in un mercato sempre più globale e competitivo. Di recente CNH Industrial ha presentato una riorganizzazione ai vertici con Hubertus […]
Al Sima di Parigi il Vice Presidente di Case IH e Steyr ci parla della nuova organizzazione in casa CNH Industrial e di come i brand da lui guidati puntino sulla sostenibilità e sull’innovazione per imporsi in un mercato sempre più globale e competitivo.
Di recente CNH Industrial ha presentato una riorganizzazione ai vertici con Hubertus M. Muehlhaeuser CEO di CNH Industrial, Derek Neilson al timone della divisione agricola e Brad Crews brand president. Cosa cambia per Case IH?
Avere per la prima volta il nuovo CEO di CNH Industrial qui al Sima è un grande aiuto e certifica l’importanza della divisione agricola all’interno del gruppo. Ora abbiamo un amministratore delegato che ci rappresenta, in grado di testimoniare chi è Cnh Industrial e cosa sta facendo nei vari settori di competenza, tra cui quello agricolo.
L’obiettivo è focalizzare al meglio i target e le strategie dei vari brand in funzione dei futuri trend industriali. La nuova organizzazione con la creazione della divisione agricola timonata da DereK Neilson serve proprio a rendere più chiara e fluida la struttura, svincolandola dalla precedente logica regionale che raggruppava per area tutte le linee di prodotto (macchine agricole, camion, autobus… ndr). Ciò consente di individuare accuratamente le necessità dei vari comparti indirizzando al meglio le risorse necessarie.
Brad Crews, nuovo brand President, ha un’ampissima conoscenza del marchio e del mercato delle attrezzature agricole, oltre ad avere alle spalle una lunga storia all’interno del gruppo e ad essere americano come il brand che dirige. Scelta logica dunque, poiché Case IH fattura oltre il 50 per cento del totale sul suolo americano e canadese.
Nei principali mercati europei (Francia, Germania, Italia, Polonia) Case IH è in crescita nonostante il calo delle immatricolazioni complessivo. Qual è la ricetta del successo?
Case IH è un brand dalle enormi potenzialità, anche dal punto di vista emozionale.
Nella storia famigliare di quasi ogni azienda agricola figura almeno un trattore o una mietitrebbia Case IH. Probabilmente negli ultimi anni non siamo stati abbastanza consci della forza del nostro marchio approcciando, di conseguenza, il mercato in maniera troppo ‘soft’.
Oggi sappiamo quali sono il ruolo e le potenzialità di Case IH e quali gli obiettivi da trasmettere alla rete vendita. Grazie alla nostra offerta a livello di prodotto, tecnologie e assistenza possiamo sicuramente crescere ancora.
Cosa si aspetta per il 2019?
Dall’inizio di quest’anno il business è in lieve sofferenza a causa del calo delle produzioni del 2018 causato dalle cattive condizioni climatiche.
La speranza è che ci sia un miglioramento a livello di rese e che i prezzi si mantengano stabili.
Qui in fiera abbiamo avuto modo di confrontarci coi clienti e il loro approccio resta comunque moderatamente positivo. Non sono ovviamente entusiasti ma confidano nel ripristinarsi di condizioni favorevoli.
Non credo dunque sia il caso di parlare di crisi, siamo in una situazione sicuramente di flessione a livello di immatricolazioni ma non dobbiamo scordare l’aumento della richiesta di potenza, un trend in crescita di anno in anno.
In tutta Europa il trattore Case IH più richiesto è il Puma 240 Cvx. Ecco perché in un mercato globale seppur previsto in lieve flessione per il 2019 ci aspettiamo un crescita del nostro brand che ha un’ottima vocazione per l’alto di gamma.
I mercati che destano maggiori preoccupazioni sono l’Inghilterra per la Brexit e la Turchia per la crisi politica ed economica, quali ripercussioni prevedete per il vostro business quest’anno?
Come ben noto Case IH produce trattori in Turchia da lunga data. La svalutazione della moneta locale danneggia ovviamente il mercato interno ma favorisce l’export, quindi la situazione è tutto sommato sotto controllo. Per quanto riguarda invece la UK è oggi difficile prevedere i reali effetti della Brexit. Va però considerato che tradizionalmente il mercato britannico è molto professionale e meno soggetto alle ondulazioni che caratterizzano altre realtà europee; non a caso nonostante l’incertezza politica lo scorso anno le immatricolazioni in Gran Bretagna hanno tenuto, in controtendenza a quanto avvenuto negli altri principali mercati del Vecchio Continente.
In sincerità non penso che l’Inghilterra possa permettersi di perdere i sussidi della Pac, ma l’approccio degli agricoltori inglesi è sempre stato piuttosto ottimistico.
Quando se ne parla prendono ad esempio quanto successo in Nuova Zelanda, dove lo stato ha rinunciato già da 10 anni ai sussidi per l’agricoltura e i farmer sono riusciti a creare un proprio modello di business autosufficiente. Vedremo dunque cosa succederà, anche se a livello di gruppo, producendo in UK, abbiamo già pronte le nostre contromisure.
Vi aspettate una reale concorrenza dai gruppi cinesi e indiani che si stanno affacciando sui mercati europei?
Ovviamente si, ma la cosa non ci preoccupa particolarmente poiché siamo già a tutti gli effetti parte del substrato produttivo di quei Paesi. In India abbiamo un’ottima posizione sul mercato locale oltre a produrre la maggior parte dei trattori CNH Industrial venduti in Africa. Allo stesso modo, realizziamo e vendiamo trattori in Cina da molti anni. CNH è un costruttore globale in grado di competere coi player locali sia sui mercati interni che su altri mercati emergenti come quello africano. In Europa parliamo invece di una domanda tecnologica assolutamente differente. Qui non c’è spazio per prodotti di bassa qualità. Certo, si possono vendere molti trattori semplici a livello di dotazione ma devono comunque essere efficienti e affidabili come il nostro Puma X. È molto difficile per aziende che non fanno volumi in Europa raggiungere il minimo livello richiesto senza sfruttare economie di scala.
In ballo c’è anche tutta la questione dell’adeguamento dei motori, che per chi proviene da aree non emissionate si tramuta in un esborso non indifferente. Dal punto di vista della qualità del prodotto sono sicuramente più competitive le aziende che realizzano trattori assemblando componenti forniti da altre imprese (motori, trasmissioni, cabine e via dicendo). Ma in questo caso è assai difficile realizzare margini che consentano di investire in ricerca e sviluppo per seguire i dettami, per esempio, della digitalizzazione.
Il futuro del settore è sempre legato allo sviluppo di trasmissioni continue o c’è un’inversione di tendenza verso cambi meccanici, magari più sofisticati come il vostro ‘dual clutch’?
Penso che il nostro ActiveDrive 8 sia la trasmissione meccanica più avanzata oggi sul mercato, capace di garantire i massimi benefici in termini di comfort e contenimento dei consumi.
Il futuro del powershift è dunque per noi il dual clutch. D’altra parte il CVX offre molta più flessibilità dialogando direttamente col motore per assicuraree la migliore risposta in ogni applicazione, oltre a essere imbattibile nei trasporti su strada. La risposta giusta va cercata nella specifica esigenza dei singoli farmer, continueremo quindi a spingere in entrambe le direzioni.
Trattori a idrogeno, a metano o elettrici. Quali sperimentazioni state portando avanti?
Ovviamente lo sviluppo di carburanti alternativi e rinnovabili resta una delle priorità di CNH Industrial. Stiamo lavorando sul metano, sull’idrogeno e sulla realizzazione di ibridi. Attualmente con le tecnologie a disposizione un trattore full electric non è proponibile sul mercato. Con la densità di potenza che richiede avrebbe un’autonomia attorno ai 10 minuti, salvo caricarlo con tre o quattro tonnellate di batterie.
Credo che l’energia elettrica sarà sfruttata per sostituire l’idraulica nella movimentazione delle attrezzature, in quanto decisamente più efficiente. Stiamo dunque lavorando su tutto ma la velocità di introduzione sul mercato dipende anche dalla capacità ricettiva del cliente finale. Se il consumatore non è pronto a recepire il cambiamento non ha alcun senso accelerare i tempi. In alcuni settori le cose stanno cambiando molto velocemente. Un esempio è l’introduzione del gas nel comparto camion; fino all’anno scorso non erano disponibili mezzi a metano e oggi si cominciano a vendere specialmente per la logistica nelle città. Che sia giusto o no, ci sono pareri contrastanti al riguardo, oggi la ‘scure’ è puntata sul diesel e noi non possiamo fare a meno di pensare a soluzioni alternative, tra le quali il metano è a oggi quella più avanzata a livello di sviluppo anche per l’applicazione sui trattori.
Se il futuro sarà votato all’economia circolare le imprese agricole dovranno investire nella trasformazione di biogas prodotto in azienda a metano.
Cos’è per lei un trattore sostenibile?
La sostenibilità, a mio modo di vedere, si erge su tre pilastri principali. Il primo riguarda ovviamente il contenimento delle emissioni e dei consumi, ma anche l’efficienza energetica del veicolo attraverso tecnologie che consentano il più possibile di limitare dispersioni e assorbimenti. In tal senso come accennato in precedenza è molto interessante l’elettrificazione di alcuni componenti.
Il secondo pilastro riguarda la salvaguardia dell’operatore, che deve essere messo nella condizione di lavorare nella maniera più sicura e confortevole possibile.
Il terzo pilastro riguarda l’interfaccia macchina/utente ovvero lo sviluppo di tecnologie usufruibili da ogni tipologia di cliente. Non ha senso realizzare sistemi digitali o automatismi che non vengono capiti e di conseguenza rimangono inutilizzati.
Le novità per Agritechnica?
Ci saranno sicuramente delle new entry interessanti ma non posso dire ora quali poiché alcune di esse potrebbero non essere pronte entro l’autunno.
Di sicuro ci sarà il nuovo Magnum recentemente presentato negli Stati Uniti.
Qual è il futuro di Steyr nell’orbita CNH Industrial?
In Spagna così come già avvenuto in altri Paesi (Polonia, Lettonia, Serbia) è stata creata una struttura ad hoc per spingere a dovere il brand Steyr.
La motivazione è quella di rispondere alla domanda di grandi costruttori e distributori di attrezzature che vogliono restare indipendenti dai big del settore trattori.
Ecco che STEYR è un piccolo marchio in grado di offrire tutta la tecnologia oggi richiesta dai moderni implements. Non si vedrà mai dunque una mietitrebbia, una trincia o una rotoimballatrice marchiata STEYR.