Agli allarmi sulla situazione dei cereali in Europa e nel mondo che le associazioni di categoria e gli enti internazionali stanno lanciando senza soluzione di continuità per il protrarsi della crisi ucraina, si è aggiunto un nuovo, preoccupante, dato: il blocco totale delle attività portuali nelle città costiere ucraine che si affacciano sul Mar Nero, dopo l’occupazione russa, ha portato allo stop del 10% di export di grano e mais, destando tanta preoccupazione per la continuità delle filiere alimentari globali. Infatti, stando a quanto stimato da Martin Frick, funzionario del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Wfp), sarebbero ben 4,5 milioni le tonnellate di mais ferme nei porti ucraine. Un’ulteriore scure che si abbatte su una nazione flagellata da più di due mesi di guerra e che, ad oggi, nel mondo esporta il 10% del frumento tenero destinato alla panificazione per un totale di oltre 18 milioni di tonnellate ma anche il 15% del mais per oltre 27 milioni di tonnellate.

Crisi Ucraina, il blocco dei porti potrebbe causare speculazioni sulle materie prime e sui prodotti alimentari

Secondo Coldiretti, che ha elaborato i dati forniti dal Wfp sulla crisi ucraina, il blocco delle spedizioni dai porti del Mar Nero a causa dell’invasione russa rischia peraltro di alimentare l’interesse sul mercato delle materie prime agricole della speculazione che si sposta dai mercati finanziari ai metalli preziosi come l’oro fino ai prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati “future” uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto, a danno degli agricoltori e dei consumatori.

Una situazione che – denuncia la Coldiretti – nei paesi ricchi genera inflazione e mancanza di alcuni prodotti ma in quelli poveri allarga l’area dell’indigenza alimentare. Una emergenza mondiale che riguarda direttamente l’Italia che è un Paese deficitario ed importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame, secondo l’analisi della Coldiretti dalla quale si evidenzia peraltro che l’Ucraina è il nostro secondo fornitore di mais con una quota di poco superiore al 13% (770 mila tonnellate), ma garantisce anche il 3% dell’import nazionale di grano secondo lo studio Divulga.

Gli effetti sull’Italia

L’Italia in particolare è costretta ad importare materie prime agricole a causa – precisa Coldiretti – dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che hanno dovuto ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati.

“Bisogna invertire la tendenza contenendo il caro energia ed i costi di produzione con interventi sia immediati per salvare le aziende che strutturali per programmare il futuro del sistema agricolo nazionale,” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “occorrono investimenti per aumentare la produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità ma bisogna anche sostenere la ricerca pubblica con l’innovazione tecnologica a supporto delle produzioni, della biodiversità e come strumento di risposta ai cambiamenti climatici”.

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