La conferenza della serata del 13 gennaio 2021 con cui il leader di Italia Viva Matteo Renzi ha annunciato le dimissioni dei membri del suo partito dagli incarichi governativi ha, di fatto, dato il via alla crisi di governo del secondo Governo Conte, in un momento reso ancora più complicato dal perdurare della crisi pandemica. Ampiamente prevista da giorni a causa dei toni e degli scambi sempre più accesi tra il Presidente del Consiglio e il senatore di Rignano, la crisi di governo è stata suggellata dalla rinuncia all’incarico da parte di Elena Bonetti, Ministro per le politiche per la famiglia della Repubblica Italiana, Ivan Scalfarotto, il Sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri nonché Teresa Bellanova, Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali (MIPAAF).

Bellanova

Bellanova si dimette dal MIPAAF. Lo strappo di Italia Viva

“La politica è la più alta e nobile forma di servizio e servire le istituzioni repubblicane l’onore più memorabile che possa capitare a una cittadina o a un cittadino. Non è interesse di parte, non è ambizione personale. Questi principi sono stati la stella polare della nostra esperienza professionale, politica e di vita”, così hanno esordito i tre dimissionari nella lunga lettera, pubblicata sul sito del partito Italia Viva, che hanno inviato al premier.

“Lasciare un incarico di Governo richiede lunghissime, dolorose e assai profonde considerazioni. Abbiamo deciso di rimettere il nostro mandato in nome della dignità e della nobiltà della politica e della nostra libertà e responsabilità individuale”, hanno poi proseguito, mettendo dunque fine alla loro esperienza di governo, iniziata poco più di un anno e mezzo fa, il 5 settembre 2019.

Alla base della rottura tre motivi

I motivi alla base dello strappo, consumato dopo un lungo tête-à-tête che ha visto contrapposte le forze di maggioranza, sono sostanzialmente tre. Il primo, rimarcano i rappresentanti di Italia Viva, è di metodo. E non ci vanno decisamente per il sottile nell’elencare “le modalità con le quali si è normalmente gestito il procedimento legislativo, le mancate convocazioni del pre-Consiglio, l’abitudine di governare con decreti legge trasformati in emendamenti ad altri decreti legge, l’utilizzo ridondante dello strumento del DPCM, l’eccesso di dirette a reti unificate durante la pandemia, l’utilizzo dei propri canali social personali rilanciati dalla televisione di Stato, la scelta di non assegnare l’Autorità delegata ai servizi segreti”.

Il secondo motivo è invece legato al merito. “Non può essere soltanto l’emergenza a tenere in piedi il Governo – tuonano i tre politici – devono essere le scelte, gli atti, le riforme, i provvedimenti. Paradossalmente è proprio la necessità di rispondere alla pandemia che ci impone di assicurarci ora che l’esecutivo sia capace di prendere tempestivamente decisioni fondamentali per la vita del Paese”. Decisioni che spaziano dalle politiche lavorative, con la fine del blocco dei licenziamenti in arrivo, al varo del nuovo Decreto Ristori per le categorie più colpite dalle misure contenitive per arginare i contagi (comunque in procinto di pubblicazione in queste ore, nonostante lo strappo), dalla gestione sanitaria al rilancio infrastrutturale per arrivare al Recovery Plan, il punto più controverso in assoluto, sulla cui governance è stata probabilmente innescata la miccia della crisi di governo attuale. E che è anche il terzo motivo illustrato nella missiva.

Le prossime mosse dell’esecutivo

Ancora da capire le prossime mosse dell’esecutivo e degli altri partiti di maggioranza (tra cui M5S, PD e LEU) per provare ad uscire dall’impasse politica. L’ipotesi di scioglimento delle camere da parte di Mattarella con voto anticipato, con la crisi pandemica che ancora detta i ritmi, appare piuttosto remota, ma non impossibile. Voci di corridoio sempre più insistenti hanno invece messo in risalto la possibilità che una pattuglia di “Responsabili”, provenienti da altre forze politiche, possa comunque sostenere l’attuale Governo in Parlamento. Per ora una sola cosa è certa: il rimpasto, almeno per quanto riguarda le cariche vacanti, dovrà per forza di cose essere portato a termine. E già si sta scatenando il totonomi.

Teresa Bellanova, da sindacalista pasionaria a ministro

Bellanova, prima di diventare Ministro per le politiche agricole del Governo Conte-bis, ha avuto una lunga esperienza sindacale, prima a fianco degli agricoltori poi nel settore tessile. Dopo essere scesa in politica con i Democratici di Sinistra ed essere stata eletta nelle liste dell’Ulivo prende parte ai lavori per la fondazione del Partito Democratico, in cui militerà tra incarichi e legislature, fino al 17 settembre 2019 quando, già Ministro, passa al neo partito fondato da Renzi Italia Viva, diventandone capo delegazione nel Governo.

Tra le misure più importanti che Bellanova ha adottato durante il suo mandato va ricordata la regolarizzazione dei lavoratori esclusi da qualunque forma di contratto ma già presenti sul territorio italiano, seguito dalla possibilità del rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo (valido solo in Italia) di sei mesi per tutti coloro che già avevano svolto mansioni nei settori dell’agricoltura, della zootecnia, dell’assistenza alla persona e assistenza domestica. I provvedimenti in questione, inseriti per il rotto della cuffia nel DL Rilancio varato a maggio dopo le proteste della ministra, in concomitanza con la fine del primo lockdown e l’inizio della fase due, avevano già testimoniato la quasi rottura della Bellanova con il Governo.

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