Risicoltura, così proprio non va! L’Europa si sveglia?
Tra i diversi comparti dell’agricoltura italiana, quello della risicoltura è uno dei più penalizzati dalle recenti dinamiche di mercato. Dall’azzeramento dei dazi sulle importazioni da Paesi meno sviluppati come la Cambogia introdotto nel 2009, oltre il 50 per cento del prodotto sulle tavole del Vecchio Continente è ‘extra-comunitario’. L’industria, si sa, non guarda in faccia nessuno […]
Tra i diversi comparti dell’agricoltura italiana, quello della risicoltura è uno dei più penalizzati dalle recenti dinamiche di mercato. Dall’azzeramento dei dazi sulle importazioni da Paesi meno sviluppati come la Cambogia introdotto nel 2009, oltre il 50 per cento del prodotto sulle tavole del Vecchio Continente è ‘extra-comunitario’.
L’industria, si sa, non guarda in faccia nessuno e a rimetterci sono sempre e solo gli agricoltori. I prezzi di listino delle principali varietà di risone si sono letteralmente dimezzati a fronte di costi di produzione difficilmente ridimensionabili. Il problema è diventato ‘comune’ tra i coltivatori europei e per la prima volta i principali Paesi produttori di riso dell’Unione (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, Bulgaria e Ungheria) hanno deciso di fare squadra e recentemente si sono riuniti a Milano costituendo un vero e proprio ‘G7’ risicolo.
Le norme sulle importazioni vanno riviste
I rappresentanti dei sette Paesi hanno messo nero su bianco cinque richieste indirizzate alla Commissione europea:
1) il riconoscimento della qualifica di sensibilità per il comparto riso, cosa che consentirebbe di non applicare concessioni alle importazioni di riso da Paesi extracomunitari;
2) la rimozione degli ostacoli, veri o presunti, che impediscono l’effettiva applicazione della ‘clausola di salvaguardia’ nei confronti delle importazioni dai Paesi meno avanzati;
3) la fissazione di regole reciproche sia tra gli Stati membri dell’UE sia tra gli Stati membri dell’UE e i Paesi terzi, sia in ambito fitosanitario sia in ambito commerciale, per favorire un mercato trasparente nel rispetto dei diritti sociali e dei lavoratori;
4) il mantenimento della qualifica di ‘specificità’ del settore riso nell’ambito della prossima pianificazione della Politica Agricola Comune;
5) l’attuazione di campagne promozionali finanziate con fondi comunitari per incrementare il consumo di riso coltivato nell’Unione europea.
“Non chiediamo il protezionismo, ma una forma di difesa: il libero scambio senza regole non può funzionare – ha commentato Paolo Carrà, Presidente dell’Ente Nazionale Risi – Abbiamo stimato che con questa situazione arriveremo al 31 agosto di quest’anno con oltre 500 mila tonnellate di stock di riso lavorato invenduto, si tratta del 30 per cento della produzione UE. Tra l’altro la liberalizzazione dei dazi non ha favorito i Paesi asiatici, bensì le multinazionali che sfruttano i Paesi più poveri, aprendo in loco stabilimenti di trasformazione”.