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I Piani di Sviluppo Rurale sono al centro di un dissapore abbastanza diffuso. Dovrebbero rappresentare la principale leva per lo sviluppo dell’agricoltura, foraggiati dal progressivo spostamento dei fondi europei dal ‘primo’ al ‘secondo’ pilastro della Politica Agricola Comune. Peccato che questa fantomatica arma spesso s’inceppa. E quando succede, ci si fa davvero male.

Molte Regioni italiane non sono riuscite a sfruttare i soldi stanziati dalla Comunità europea per i Psr del ciclo 2007-2013. E non parliamo di bruscolini. Il caso più imbarazzante è quello della Sicilia, capace di perdere 21,5 milioni di euro. Il motivo? Semplicemente perché i fenomeni di Palazzo d’Orleans non sono riusciti a spenderli, malgrado abbiano avuto a disposizione sette lunghi anni per farlo.

Così, mentre molte domande presentate dalle aziende agricole italiane cadono nel nulla, i fondi a loro destinati tornano a Bruxelles. Una triste storia che rischia di ripetersi. Si perché a fine febbraio 2016, nella maggior parte delle Regioni del nostro Paese non ci sono ancora i primi bandi definitivi relativi al nuovo ciclo Pac 2014-2020.

Per aiutare davvero il settore, serve un cambiamento a monte. Invece di rimbalzare proclami a destra e a sinistra sui milioni promessi al primo insediamento dei giovani o alla modaiola multifunzionalità, è tempo di stringere con i fatti. Sarebbe ora, anzi siamo già in ritardo.

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