Pasquali 986-997, gli isodiametrici che parlavano toscano
Oggi li chiameremmo specializzati, ma, nei tempi d’oro dell’agricoltura italiana a cavallo degli anni Ottanta e Novanta, quando ancora bastava una manciata di cavalli per svolgere la quasi totalità delle operazioni, i Pasquali 986-997 erano dei veri e propri ‘tuttofare’. Furono tra gli ultimi trattori riconducibili al genio fiorentino Lino Pasquali, per molti i più talentuosi e ‘duri a […]
Oggi li chiameremmo specializzati, ma, nei tempi d’oro dell’agricoltura italiana a cavallo degli anni Ottanta e Novanta, quando ancora bastava una manciata di cavalli per svolgere la quasi totalità delle operazioni, i Pasquali 986-997 erano dei veri e propri ‘tuttofare’. Furono tra gli ultimi trattori riconducibili al genio fiorentino Lino Pasquali, per molti i più talentuosi e ‘duri a morire’.
I cinque modelli motorizzati Lombardini e Ruggerini
La serie, proposta per molti anni con versioni e colorazioni differenti, era fondamentalmente composta da cinque modelli: il 986 da 21 cavalli, il 991 da 24 cavalli, il 993 da 30 cavalli, il 997 da 35 cavalli e il più potente 988 spinto fino a 38 cavalli. Le motorizzazioni erano tutte orgogliosamente italiane: il 986 e il 991 montavano il monocilindrico Lombardini, il 993 e 997 adottavano il bicilindrico Ruggerini, mentre il 988 vantava il due cilindri Lombardini.
Il top di gamma 988
Nonostante i comprensibili dubbi suscitati dalla nomenclatura, il 988 deteneva lo scettro di top di gamma. Il raffreddamento ad aria era caratterizzato dal turbo soffiante assiale. Il cambio prevedeva due leve, entrambe poste alla destra del volante: quella del riduttore con tre posizioni (ridotta, normale, veloce) e quella delle tre marce. I rapporti disponibili erano 9 in avanti e 3 in retro. La frizione? Comprensibilmente monodisco a secco.
L’isodiametrico articolato, che senza zavorre non raggiungeva i 10 quintali di peso, era caratterizzato da una trasmissione integrale con coppie coniche differenziali sui due assi. Lo sterzo prevedeva originariamente una vite senza fine, poi sostituita dall’idroguida nelle più recenti versioni.
L’impianto idraulico era caratterizzato da una pompa ad ingranaggi flangiata sul motore. Posteriormente, in mezzo al sollevatore indraulico c’erano, come consuetudine, due distinte prese di forza (entrambe utilizzabili sia in modo indipendente che sincronizzato all’avanzamento).