Dal campo alla piazza: le proteste dei trattori infiammano l’Europa. L’inchiesta
I cortei dei trattori hanno invaso tutta l’UE. I motivi della protesta cambiano da Paese a Paese ma comune denominatore è la caduta del reddito. La scommessa ottimistica su una transizione ecologica ‘a basso costo’ è stata persa e gli agricoltori si sentono più ‘imputati’ che protagonisti
Maneggiare le proteste dei trattori e degli agricoltori è piuttosto complesso, non solo perché rappresenta una questione delicata, ma anche perché cambia radicalmente a seconda del punto di vista da cui si osserva. Il punto di arrivo, anticipiamo il risultato di questo articolo è che non esistono risposte giuste o sbagliate, esiste solo la grande trasformazione che stiamo vivendo, che rappresenta una grande opportunità per molti, ma al contempo un enorme problema per molti altri.
Un vero e proprio campo conteso nel quale tutti ci stiamo misurando ognuno con le proprie risorse e le proprie convinzioni; dallo scontro e dalla mediazione degli interessi nascerà una nuova realtà con nuovi equilibri, impossibili da prevedere oggi. E se oggi è il mondo agricolo a essere scosso, lo stesso sta accadendo, accadrà o è accaduto in molti altri settori destinati a essere radicalmente trasformati, basti pensare, per restare in Italia, al settore automotive.
Angelo Frascarelli presidente di Ismea fino al giugno 2023 e Docente di Economia e Politica Agraria presso l’università di Perugia ha provato a delineare le ragioni delle proteste, facendo ben notare di come sia necessario: «distinguere tra motivazioni congiunturali e strutturali, tra temi che si possono affrontare nel breve periodo (basti pensare alla questione Irpef) e temi che si possono affrontare con azioni di lungo periodo» tenendo comunque presente che «l’agricoltura è sottoposta a cambiamento, l’incertezza normativa e sui mercati e la perdita di valore lungo la filiera sono i fattori che hanno scatenato la protesta».
Ritornano le proteste dei trattori: le origini del dissenso
Le proteste dei trattori, nate in Germania per l’abolizione degli incentivi sul gasolio agricolo, con una parziale marcia indietro del governo, sono state presto abbracciate dagli agricoltori europei, francesi, olandesi e belgi in primis, ognuno con proprie specifiche motivazioni (dalla richiesta di indennizzi più rapidi e sostanziosi in caso di calamità, all’opposizione per l’obbligo di diminuzione dei capi di allevamento, alla lotta contro l’importazione di prodotti da Paesi con standard inferiori). Se la causa comune è la perdita di reddito, non sembra a oggi esistere una precisa piattaforma rivendicativa e anche i punti programmatici più volte pubblicati hanno diversi interlocutori.
Il caso italiano in questo senso è significativo, dal momento in cui alcune questioni possono essere poste al governo (la questione Irpef) altre all’Europa (relativamente alla PAC e alla reciprocità della qualità delle produzioni), mentre alcune legate alla struttura organizzative del commercio mondiale (il valore aggiunto delle produzioni mal distribuito lungo la filiera) non hanno un interlocutore chiaro.
«C’è una pressione a cui gli agricoltori sono sottoposti – spiega l’on. Paolo de Castro in una videointervista a Trattoriweb – perché il green deal, il farm to fork, tutte le decisioni della Commissione spingono verso un’accelerazione nella transizione ecologica, (rappresentano scelte compiute ndr.) nel momento più sbagliato perché noi avevamo già fatto una riforma della PAC entrata in vigore soltanto un anno fa, il 1° gennaio 2023 in cui la componente ambientale è significativamente aumentata, basti pensare agli ecoschemi. Abbiamo legato il 25% di tutti gli aiuti PAC ai comportamenti ecologici, ebbene, nel momento in cui gli agricoltori europei stanno applicando la nuova PAC con questi nuovi impegni ambientali la commissione ha messo sul tavolo almeno 4 proposte legislative che vanno ad accelerare questo percorso».
«Penso, – continua De Castro – al regolamento con il divieto di utilizzo di fitofarmaci, fino al 50% di riduzione entro il 2030, penso alla direttiva emissioni industriali che aveva incluso le stalle paragonandole a una fabbrica, ma penso anche al regolamento sul ripristino della natura che ha dato una sensazione drammatica agli agricoltori – come se fino ad adesso gli agricoltori avessero distrutto la natura e quindi bisogna ripristinarla. Insomma gli agricoltori si sono sentiti sotto accusa, non protagonisti di questa transizione ecologica, ma imputati».
Riassumendo il caso italiano delle proteste dei trattori, Frascarelli propone 4 principali motivazioni che hanno portato a un calo del reddito da parte degli agricoltori e quindi alle proteste (anche se non di tutti, è bene sottolinearlo): «Il primo fattore è rappresentato dalla riduzione dei prezzi di alcuni prodotti, dei cereali e più in generale delle commodity che dipendono dal mercato internazionale. C’è stato un crollo dei prezzi veramente importante, basti pensare che il grano tenero che nel 2023 valeva 380 euro a tonnellata oggi ne vale 220».
«Oltre a questo – continua Frascarelli – il 2023 ha presentato un andamento climatico pessimo con cali di rese importanti in diversi settori: cereali e altre commodity, uva per peronospera causata da eccesso di pioggia, ulivo per la mancata allegagione (sempre per eccesso di pioggia) e nella frutta per effetto gelo». «Terzo la struttura dei costi di produzione: alti all’inizio 2023, abbassatisi poi nel corso dell’anno, ma molto elevati all’inizio della campagna agraria».
Prezzi bassi, costi alti
Quindi: prezzi bassi, rese basse e costi alti il che si traduce in redditi compromessi. Su questo scenario si aggiunge l’entrata in vigore della nuova PAC (2024) che, non solo, come ogni novità comporta incertezze, ma, in particolare, impone più impegni ambientali e vincoli agli agricoltori che lamentano aggravi amministrativi e requisiti ambientali più stringenti.
Quarto punto, citato da Frascarelli, l’iniqua distribuzione del valore lungo la filiera, un fattore strutturale che nasce con il moderno sistema agroalimentare con un consumatore a caccia di nuovi servizi e nuove offerte, con prodotti sempre più ricercati, ma sempre meno legati al loro valore intrinseco. Su queste considerazioni si innestano una serie di osservazioni che vale la pena riportare e che vogliono evidenziare quanto la situazione sia complessa e difficile da rappresentare, figuriamoci da governare.
Il prezzo di alcune commodities basso è un problema per alcuni, ma è uno strumento competitivo per altri (si pensi agli allevatori); la questione dei dazi si ripropone ciclicamente e va inserita in un contesto in cui l’Italia è un Paese esportatore, mentre la questione della reciprocità delle norme sociali e ambientali, secondo Frascarelli «in buona parte viene rispettato, non sempre e non ovunque, ma si è fatto e si fa molto, ma non è un fattore nuovo, così come l’iniqua distribuzione del valore aggiunto lungo la filiera… sono problemi strutturali non di facile soluzione».
Potrebbe interessarti
Proteste trattori, c’è un manifesto in 10 punti. Ecco cosa chiedono gli agricoltori
«Vedo – conclude – un desiderio di protestare, di esprimersi visto che i canali tradizionali non sono stati capaci di ascoltare questo disagio, molte proteste non sono rivolte verso il governo italiano, ma contro la PAC e l’UE, ma non tengono conto che quest’ultima è il risultato di una discussione che è durata dal 2017 al 2022. Molta parte della società richiede che gli agricoltori prestino più attenzione all’ambiente alle modalità di allevamento (con meno antibiotici e meno pesticidi/fertilizzanti) e la PAC rappresenta il punto di equilibrio tra le esigenze degli agricoltori e della società. Bisogna tener conto che le politiche non le scrivono solo gli agricoltori, ma insieme tutti i cittadini europei. Il green deal europeo riguarda tutti, agricoltura edilizia, energia automotive, trasporti, industria».
Con le proteste dei trattori arriva la tempesta perfetta
In pratica riassumendo possiamo dire di essere in mezzo a una tempesta perfetta, che vede concorrere fattori strutturali e congiunturali sullo sfondo di una trasformazione spinta delle nuove tecnologie e della questione ambientale. Bisogna coltivare di più e meglio consumando meno acqua, utilizzando meno fertilizzanti e meno pesticidi, producendo di più a prezzi inferiori, salvaguardando la biodiversità e rigenerando il terreno. La PAC deve proteggere i piccoli agricoltori e le produzioni originali, facendo in modo che non siano elitarie, deve promuovere le nuove tecnologie rendendole alla portata di tutti e contemporaneamente non penalizzare i produttori extra EU. Insomma tutti vogliono tutto e nessuno vuole rinunciare a qualcosa.
È ovvio constatare come ci siano interessi contrastanti, se si finanziano le piccolissime imprese si rischiano di mantenere in vita imprese improduttive, incapaci di compiere quegli investimenti necessari a essere efficienti anche dal punto di vista ambientale. Se invece non si finanziano si rischia di perdere la passione, la qualità estrema, si rischia di perdere la biodiversità culturale e colturale che caratterizza il panorama agricolo europeo e in particolare quello italiano.
Questo però è solo una delle tante contraddizioni che ci troviamo ad affrontare, alcuni agricoltori lamentano la mancanza di reciprocità ambientale/sociale, questione che va al di là dell’opportunità offerta dagli OGM e che per esempio si pone nel momento in cui si tratta la questione Ucraina. Sono questioni però che vanno ben al di là dell’ambito agricolo e che di volta in volta si catalizzano su settori diversi della società.
Potrebbe interessarti
Trattori, le proteste arrivano sotto al Parlamento Europeo a Bruxelles
Chi lavora nella bioeconomia lamenta un forte e costante sostegno all’economia fossile, chi fa caldaie tradizionali o motori diesel ritiene di essere inutilmente penalizzato date le performance degli ultimi modelli e le prestazioni dei ‘modelli’ che si trovano in giro per il Mondo. Insomma ognuno cerca di difendersi perché cambiare è faticoso e a volte non è neanche possibile, per motivi anagrafici, per mancanza di competenze o perché impossibilitati a cambiare.
Questo perché ogni trasformazione comporta dei costi e questa che stiamo vivendo, in particolare, ne prevede di ingenti, forse di imprevisti e soprattutto la politica dell’UE probabilmente li anticipati troppo radicalmente. Quello che, infatti, viene imputato all’UE è che la spinta bottom – up sia stata troppo forte, troppo repentina. Alla politica fin’ora è, infatti, mancata la forza di portare con sé tutta la società, oltre ad alcuni errori di visione, inevitabili, è mancata la capacità di coinvolgere i cittadini e di renderli motori del cambiamento più che vittime della trasformazione in corso.
Dall’altro lato però è vero che tecnologie e mutamenti climatici stanno correndo e non possiamo pensare che ci lascino il tempo di introiettare i cambiamenti con ‘dolcezza’. «L’Europa, – conclude con un auspicio De Castro – ha in buona parte modificato, cancellato o rinviato la gran parte delle decisioni (ndr che scaricavano con troppa veemenza il Green Deal sugli agricoltori). Ricucire questo rapporto con le comunità rurali sarà il principale impegno della prossima Commissione Europea dove mi auguro ci sarà un Commissario in grado di bilanciare queste pressioni ecologiste.
Nessuno mette in discussone la transizione ecologica, sappiamo che dobbiamo fare dei passi avanti e che gli agricoltori dovranno fare la loro parte; sappiamo anche che gli agricoltori sono i protagonisti di questa transizione e non si possono ottenere grandi risultati di carattere ambientale senza coinvolgere i principali attori di questo cambiamento, quelli che gestiscono il 70% del territorio europeo».
I numeri degli agricoltori
«I numeri parlano chiaro», si presenta così al telefono Mario Vigo, storico promotore di Combi Mais un protocollo studiato per ottimizzare la produzione di Mais rendendolo sostenibile a 360 gradi e sano dal punto di vista delle micotossine. «Prenda carta e penna e segni questi numeri: 2021, prezzo del mais 19 Euro al quintale, 2022, 37 Euro, 2023 tra i 22 e i 23 Euro. Se analizziamo i costi vuol dire che un’azienda per andare in pareggio doveva produrre rispettivamente 143, 102 e 170 quintali per ettaro. Tenga conto che una azienda media arriva a 120, in anni eccezionali (quali non sono stati questi, anche per colpa della siccità) e dopo importanti investimenti in tecnologia si può arrivare a 150 ma sono produzioni elevatissime e certamente non alla portata di tutti».
«E le dinamiche dei costi chiariscono il mio concetto, per la nutrizione ho speso rispettivamente (nel 2021 – 22 e 23) 310, 670 e 520 Euro a ettaro, (per gli altri numeri guardate la tabella) insomma mantenendo costanti i costi di affitto dei terreni e con un contributo PAC in calo le aziende agricole, per quanto strutturate e all’avanguardia stanno molto male».
«E anche la politica agricola del Pese ne soffre, se pensiamo al mais, mentre le altre macroaree del mondo aumentano le produzioni l’Europa è l’unica area che le disincentiva. Nel mais siamo passati da una quasi autosufficienza dell’inizio degli anni 2000 all’importare il 60% del fabbisogno, per un cereale multifunzionale (energia e alimentazione), non abbiamo imparato niente da quanto accaduto con il Covid».
«Per tornare ai prezzi dei cereali, ma soprattutto ai costi che devono sostenere gli agricoltori è evidente che i costi degli input produttivi sono rimasti alti, mentre il valore della nostra produzione si è abbassato per le scelte legate ai dazi dell’Unione Europea e la situazione è diventata insostenibile». Situazione, a prescindere dalle motivazioni e dalle ragioni, preoccupante per il Paese se si pensa alla struttura delle aziende agricole italiane ben rappresentata dai dati Istat secondo i quali 450mila (circa il 40% del totale) hanno meno di 2 ettari di SAU e oltre il 90% sono individuali o familiari (il 20% ha il capo over 75 anni), quindi presentano evidentemente grossi limiti di capitalizzazione e relativa capacità di investimento e di accesso alle nuove competenze. L’impressione è che saranno queste le realtà più colpite dalla trasformazione che stiamo vivendo e che dovranno essere accompagnate in un processo di crescita o di inevitabile uscita dal mercato