India, stop all’export di grano. Allarme carestie nel mondo
A lanciare l'allarme è la Coldiretti. La scelta indiana va a complicare il quadro internazionale, già precario a causa delle guerra tra Russia e Ucraina, che insieme movimentano 55 milioni di tonnellate. E nel frattempo il costo delle materie prime schizza di nuovo verso l'alto
Ai paesi che hanno scelto di bloccare l’export di materie prime ritenute fondamentali per il sostentamento della popolazione, alla luce della gravi speculazioni che hanno investito i prezzi delle principali commodities agricole (aumentati in media del 29,8% nell’ultimo anno, si è purtroppo aggiunta anche l‘India. La nazione asiatica, infatti, ha bloccato completamente l’export di grano verso il resto del mondo, scegliendo quindi la via del protezionismo per ovviare alle difficoltà subentrate a livello globale a quasi tre mesi dello scoppio del conflitto in ucraina.
Secondo la Coldiretti, la nuova ondata di misure protezionistiche che ha colpito la filiera agroalimentare globale e il conseguente aumento dei prezzi dei cereali, potrebbero provocare gravi carestie e indigenza alimentare in più di 53 paesi nel mondo, dove la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione. Nei paesi più ricchi, invece, i vari blocchi dell’export si tradurranno nella crescita dell’inflazione: nell’eurozona, per esempio, è già arrivata al 6,1%, con inevitabili conseguenze in negativo sui pil nazionali, in ripresa dopo il tonfo pandemico e ora di nuovo in difficoltà.
L’India blocca l’export di 10 milioni di ton di grano. La situazione globale
La decisione dell’India di sospendere le esportazioni sconvolge i mercati dove aveva l’obiettivo di esportare ben 10 milioni di tonnellate di grano nel corso del 2022, anche se l’Italia – secondo la Coldiretti – non ha importato direttamente grano dal secondo produttore mondiale. Un annuncio che fa seguito – sottolinea la Coldiretti a quella dell’Indonesia di sospendere le esportazioni di olio di palma, di cui il Paese e il primo produttore mondiale, a causa delle difficoltà sul mercato interno e del rischio di tensioni sociali.
Ma anche Serbia e kazakistan hanno limitato con quote le spedizioni di cereali all’estero ed in Europa una misura simile, fortemente contestata dalla Commissione Europea, era stata presa dall’Ungheria con pesanti effetti per il mais sull’Italia che ne ha importato ben 1,6 miliardi di chili di mais nel 2021.
La carenza di grano ha poi portato molte comunità al cambio della dieta con la sostituzione dei piatti a base di grano con il riso che ha registrato un balzo dei prezzi e dei consumi mondiali che nel 2022 – spiega Coldiretti – raggiungeranno il record degli ultimi dieci anni con quasi 521 milioni di tonnellate in aumento di oltre 9 milioni rispetto all’anno precedente. Si tratta – continua Coldiretti – del cereale più consumato al mondo alla base della dieta di molte comunità, a partire dai paesi asiatici ma anche in alcune aree dell’Africa.
Crisi del grano, gli effetti sull’Italia
L’ emergenza mondiale riguarda direttamente l’Italia che è un Paese deficitario ed importa addirittura il 62% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti, il 35% del grano duro per la pasta e il 46% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame, anche se è pero’ autosufficiente per il riso di cui è il primo produttore europeo con oltre il 50% dei raccolti per un totale di circa 1,5 milioni di tonnellate di risone all’anno, anche se quest’anno in forte calo per effetto della siccità e degli alti costi di produzione.
“Bisogna invertire la tendenza ed investire per rendere il Paese il più possibile autosufficiente per le risorse alimentari facendo tornare l’agricoltura centrale negli obiettivi nazionali ed europei” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “nell’immediato occorre salvare aziende e stalle da una insostenibile crisi finanziaria per poi investire per aumentare produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità ma serve anche contrastare seriamente l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono nei terreni e sostenere la ricerca pubblica con l’innovazione tecnologica e le Nbt a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento in risposta ai cambiamenti climatici.