Grano, la Russia non rinnova l’accordo per l’esportazione dai porti ucraini. Balzo del prezzo
Negli scorsi giorni è già salito del 3,4%. La nuova escalation del conflitto in Ucraina ha spinto Mosca a non rinnovare. Gravi le possibili ripercussioni sui paesi più bisognosi
“La Russia non rinnoverà l’accordo sul grano ucraino”. Questo il laconico commento di Dmitri Peskov, il portavoce del Cremlino. Il niet russo arriva a un anno della firma dell’accordo che permise alle navi cargo ormeggiate nei porti ucraini cariche di grano di viaggiare per il Mar Nero senza subire ritorsioni o attacchi, e esportare così il preziosi cerealo che, stoccato in grandissime quantità all’interno delle stive, rischiava di marcire e di provocare carestie in tutti quei paesi – soprattutto quelli in via di sviluppo – dipendenti dalle esportazioni ucraine.
Ucraina, sul grano salta l’accordo. Critiche da UE
Nonostante le difficoltà emerse dalle due parti in conflitto durante la fase negoziale degli ultimi mesi, sul finire della scorsa settimana il rinnovo dell’accordo pareva cosa fatta, stando alle parole del leader turco Recep Tayyip Erdogan, fondamentale mediatore già per la riuscita del primo accordo lo scorso anno. Al contrario, la situazione è precipitata nella mattinata del 17 luglio, con l’annuncio da parte russa del non rinnovo, a poche ore, tra l’altro, delle accuse mosse a Kiev per il recente attacco sul ponte che collega la Russia continentale alla penisola di Crimea, annessa nel 2014.
Dall’UE non sono mancate le critiche. “Condanno fermamente la mossa cinica della Russia di porre fine all’iniziativa per i cereali del Mar Nero, nonostante gli sforzi delle Nazioni Unite e della Turchia”, ha commentato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “L’Ue sta lavorando per garantire la sicurezza alimentare per le persone vulnerabili in tutto il mondo. I corridoi di solidarietà Ue continueranno a portare i prodotti agroalimentari dall’Ucraina ai mercati globali”.
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Aumenta il prezzo. E l’Italia rischia
Quello del mancato rinnovo dell’accordo sul grano è l’ennesimo colpo di scena di questo conflitto sanguinoso e brutale che continua a essere combattuto sul fronte, giorno dopo giorno, e nei cieli, con i continui attacchi missilistici e di droni (stando alle prime stime provvisorie sarebbero già più di 100mila le vittime totali, tra civili e militari, da entrambe le parti), ha quindi causato l’ennesima balzo delle quotazioni del prezzi del grano, ormai sulle montagne ‘russe’ da più di un anno. L’aumento, per ora, sarebbe del +3,4%.
Il dato è emerso da un’analisi della Coldiretti sulle quotazioni del Chicago Board of Trade, punto di riferimento internazionale delle materie prime agricole. Il grano tenero con consegna a settembre ha chiuso la settimana a 6,61 dollari per bushel mentre il mais con consegna a dicembre a 5,14 dollari al bushel in rialzo del 2,7% in un solo giorno.
L’annuncio della mancata proroga dell’accordo sui cereali provenienti dal mar Nero, ha sottolineato la Coldiretti, coinvolge direttamente l’Italia dove le importazioni di grano proveniente dall’Ucraina sono aumentate del 430% per un quantitativo pari a oltre 142 milioni di chili mentre quelle di mais del 71% per un totale di 795 milioni di chili sulla base di elaborazioni Coldiretti su dati Istat nel primo quadrimestre del 2023 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
L’Italia, con le superficie coltivate di grano che stentano a crescere (+6,2% di grano tenero ma -1,6% di grano duro) e con il 6,3% complessivo sul totale delle esportazioni ucraine di prodotti agricoli, tra grano, mais e olio di girasole, è al quarto posto dietro Cina (24,3%), Spagna (18,3%) e Turchia (10%) tra i Paesi più interessati dall’accordo Onu secondo il Centro Studi Divulga che evidenzia come in un anno hanno lasciato il territorio di guerra quasi 32,8 milioni di tonnellate di prodotti agricoli, tra mais (51% pari a 16,8 milioni di tonnellate), grano (27% pari a 8,9 milioni di tonnellate), olio di girasole (11% tra olio e semi pari a 3,5 milioni di tonnellate) e altri prodotti secondari, considerando i tre porti inseriti nell’accordo Chornomorsk (38,7% del totale), Yuzhny (31,9%) e Odessa (29,4%).