Nessuno dei sette componenti del Consiglio di Amministrazione della giovanissima Fiat, nel lontano 1918, poteva pensare che la scelta maturata in seno alla riunione del 28 novembre dello stesso anno, ovvero di dar vita alla divisione agricola del marchio torinese (la ‘Fiat Trattori’), avrebbe dato origine a uno dei più grandi produttori agromeccanici della storia, ancora oggi (con le sue trasformazioni) tra i più importanti (e commercializzati) al mondo. Ma è proprio quello che accadde.

Una decisione che, di fatto, ebbe conseguenze inimmaginabili per la meccanizzazione agricola dei successivi cent’anni ma che fu presa in pochi minuti, in mezzo a una lunga sequela di provvedimenti urgenti per l’azienda torinese tra cui, per esempio, figurava il doppio stipendio da corrispondere in novembre a tutti gli impiegati, per festeggiare il mese della vittoria (dell’Italia e della triplice intesa sugli imperi centrali, alla fine della Prima Guerra Mondiale), dopo tre anni durissimi, in cui l’apporto alla produzione bellica da parte dei dipendenti fu fondamentale.

Fiat Trattori, quando tutto cambiò

In considerazione del fatto che la circolazione delle automobili private era ancora proibita, e che l’esportazione era strettamente regolata dalle autorità militari, i sette consiglieri della Fiat deliberarono la produzione di 5.000 vetture modello 501 e, contemporaneamente, la costruzione di 1000 trattori. Dunque l’impegno nel settore agricolo era stato preso, con le conoscenze accumulate durante la guerra che si sarebbero dimostrate fondamentali. Da quel momento in poi si moltiplicarono gli accordi con i consorzi agrari, la base per poter penetrare con successo nelle campagne italiane, dove la trazione animale era ancora diffusissima.

In considerazione del fatto che Giovanni Agnelli, lo storico fondatore e Amministratore Delegato, del gruppo credeva – come d’altronde pensava anche Ford dall’altra parte dell’oceano – che i trattori andassero costruiti in un luogo diverso da quello deputato alla produzione delle auto (e quindi non a Torino), la scelta ricadde su un luogo inserito naturalmente all’interno di una vastissima area agricola, con una clientela aperte al passaggio da forza animale a meccanica. La città che rispondeva perfettamente a queste caratteristiche era Modena: ed è proprio lì, al centro della Pianura Padana, che nel 1928, la Fiat iniziò a produrre trattori su vastissima scala, tramite la creazione di una società ad hoc, la OCI (Officina Costruzioni Industriali).

Le origini

Ma a ben vedere la Fiat iniziò a pensare ai trattori agricoli già nel 1917. Lo stesso anno in cui i governi delle nazioni dell’Intesa (Francia, Gran Bretagna e la stessa Italia) ordinarono alcune migliaia di trattori negli Stati Uniti, dove si trovavano i soli costruttori di macchine di questo tipo. Il Regno Unito ne ordinò 5.000 direttamente da Ford, mentre l’Italia ne acquistò più di 6.000 da sei diverse case, affidandoli poi ai militari affinché organizzassero quell’operazione passata sotto il nome di “aratura di Stato”. La guerra, al suo terzo anno, incalzava e c’era urgente necessità di cibo per sfamare i soldati al fronte e la popolazione.

Fiat progettò dunque il suo primo trattore e lo presentò alle autorità nell’agosto del 1918: aveva un carro costituito da un telaio o da una barca sulla quale erano appoggiati il propulsore e il cambio. Il comfort a bordo dell’operatore era praticamente inesistente, così come la funzionalità, ridotta all’osso. A quei tempi l’unico mezzo controcorrente, in questo senso, era il Fordson consegnato alla Gran Bretagna: un mezzo compatto da 1200 kg di tara, con un motore 4 cilindri da 4 litri, in grado di erogare 20 cv a 1000 giri.

Non aveva un telaio, e le parti meccaniche erano state progettate per essere imbullonate tra loro creando un mezzo solido, praticamente indistruttibile in campo, pratico e soprattutto economico per gli standard dell’epoca. Caratteristiche che non sfuggirono ai progettisti Fiat. Di questi nuovi trattori furono inizialmente costruiti 50 prototipi e uno di questi, nel 1916, fu spedito proprio in Italia, a Piacenza, presso la sede dei Consorzi Agrari, con l’obiettivo di trovare un nuovo acquirente (o forse un distributore)

La Fiat giocava in casa nella cittadina emiliana, che era sede di uno dei principali ‘collaboratori’ nonché clienti: il genio militare, alle prese proprio in quegli anni con le complicazioni del conflitto in atto. Prendendo come modello il Fordson, è probabile che gli ingegneri torinesi si siano messi a sviluppare un veicolo più pesante e potente, adatto alle caratteristiche dei terreni italiani. Un mezzo che poi, molto probabilmente, la Federazione dei Consorzi Agrari, avrebbe poi potuto commercializzare, garantendo discrete sicurezze all’azienda torinese. Tutto questo ancora prima che entrasse in produzione.

Come anima del nuovo trattore che stava per nascere, i progettisti scelsero il motore del famoso autocarro 18 BL, allora uno dei mezzi pesanti più rinomati sul mercato, andato a ruba tra le fila di molto eserciti belligeranti. Si tratta di un motore a bassa velocità con un cilindrata di 5.652 cm3 e con 4 cilindri verticali fusi in un solo blocco. Completavano il quadro le valvole laterali e il regolatore meccanico centrifugo, in grado di limitare i giri motore a 1200 al minuto. Ma, mentre la potenza sull’autocarro era di 38 cv, sul trattore in sviluppo fu ridotta a 18-20 cv, insieme ai giri motore, che scesero a 800 al minuto.

Il cambio aveva tre marce (tutte molto ravvicinate) mentre il differenziale possedeva una trasmissione finale a vite senza fine. Entrambi furono racchiusi in una scatola di fusione d’acciaio, in cui aveva trovato alloggio anche la campana della frizione. I primi due esemplari, di quello che poi sarebbe diventato il leggendario Fiat 702, furono preparati entro la primavera del 1918, quando la guerra ancora imperversava sulla linea del Piave.

Alla fine, come accennato in precedenza, il trattore fu lanciato ufficialmente il 14 agosto 1918 nelle campagne della tenuta agricola Segre a Nichelino (a sud di Torino), alla presenza della massima carica aziendale – l’amministratore delegato Giovanni Agnelli – e delle istituzioni, sia nazionali (con delegati del Ministero dell’Agricoltura) sia locali. Il Fiat 702 diventò quindi il più moderno e performante trattore, tanto da dettare legge per i due anni successivi, fino al 1920, reduce da numerosi concorsi di aratura, sia in Italia che nel mondo.

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