Dopo la produzione del primo trattore durante la guerra e la nascita della divisione agricola nel novembre del 1918, la Fiat proseguì i suoi sforzi nel campo dei trattori, tanto che nel giugno del 1919, durante una riunione del Consiglio di Amministrazione si paventava la possibilità di acquisire la società “La Moto Aratrice”, fondata da Ugo Pavesi e sviluppatrice di un trattore agricolo a quattro ruote motrici, presentato in contemporanea al modello Fiat a Milano, nell’estate del 1918 (quando ancora la guerra imperversava su quell’enorme bastione difensivo naturale che fu il Piave).

Fiat 700, quando la produzione si spostò in Emilia-Romagna

L’operazione di acquisizione non andò a buon fine poiché, nel frattempo, La Moto Aratrice venne inglobata nelle partecipazioni statali. Ma l’interesse da parte della Fiat Trattori di Giovanni Agnelli testimoniava già una forte vocazione all’espansione industriale, verso quella che sarebbe poi diventata una vera e propria economia di scala. E il decennio successivo lo dimostrò: la Fiat Trattori negli anni Venti, dopo aver acquistato svariati stabilimenti a Torino per potenziare la produttività, decise di costruire uno dei suoi principali poli produttivi all’interno di un territorio dalla forte vocazione agricola, dove le macchine prodotte avrebbero trovato uno sbocco commerciale naturale. Un luogo in cui la manodopera qualificata a livello meccanico non mancava e dove l’assistenza poteva essere gestita con costi ridotti.

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Territorio che venne individuato in Emilia-Romagna, una delle regioni dalla vocazione agricola e meccanica più marcata, sede di eccellenze agroalimentari riconosciute a livello mondiale. Qui, prima la Fiat Trattori si impegnò con il Ministro della Guerra e delle Finanze a installare un polo produttivo tra Piacenza e Bologna, poi venne acquisito un imponente stabilimento a Modena, dato in gestione alla controllata Officine Costruzioni Industriali (OCI). L’edificio, costruito negli anni ’10 e originariamente destinato alla riparazione di materiale ferroviario, venne dunque riconvertito dalla Fiat Trattori e adibito alla produzione in serie di un nuovo trattore, progettato a Torino, diretta evoluzione dei modelli del 1918-1919: il 700.

Un mezzo rivoluzionario

A gestire la direzione tecnica del Fiat 700 ci pensò Carlo Cavalli, già alla guida dello sviluppo di automobili storiche (TipoI) e autocarri (15Ter o 18B), mentre la parte esecutiva fu affidata a Tranquillo Zerbi, storico progettista di motori diesel per applicazioni pesanti. Zerbi era un innovatore per l’epoca e lo sviluppo del motore del trattore Fiat 700 lo dimostra: si trattava infatti di una soluzione che per la prima volta adottava le valvole in testa su un mezzo “pesante”. Prima di allora questa soluzione era stata applicata soltanto all’autovettura ammiraglia del gruppo, la 519 a 6 cilindri, a vantaggio delle valvole laterali, usati in larga misura su tutte le applicazioni.

La versione cingolata del Fiat 700

L’alimentazione era a nafta, grazie al vaporizzatore con due condotti di aspirazione distinti, in grado di gestire in modo ottimale i flussi di petrolio. Anche la trasmissione sorprese ai tempi: possedeva riduttori epicicloidali, situati proprio all’uscita del differenziale. La corona dentata solidale alla campana e i tre satelliti che permettevano di dividere il moto per sei (con una gamma di merce molto ampia per l’epoca) completavano il quadro della catena cinematica.

Rispetto ai “fratelli” 702 e 703 il peso era inferiore di 1.100 kg, la lunghezza risultava essere di 30 cm in meno. Anche il motore era più piccolo (3.570 cc), e già a 1.400-1.500 giri era in grado di sviluppare 30 cv, rispetto ai 25/35 del 702 B (sprigionati a 1.100 giri)

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