Doppstadt Trac 80 Systra, professione tuttofare. Una rivoluzione che non decollò
Trasmissione idrostatica, quattro ruote sterzanti, cabina centrale e motore verde. Nasceva come porta attrezzi ma sa dire la sua anche in campo aperto. In più, sfoggiava una linea accattivante e un comfort da fare invidia a molti big. Nel 2002 lo provammo. Ma negli successivi se ne persero le tracce
Doppstadt, un nome che tra gli appassionati di trattori può dire poco, ma che in materia di compostaggio e smaltimento rifiuti ricopriva un ruolo di primissimo piano. L’azienda tedesca, con sede a Velbert (Dusseldorf) era infatti tra i leader mondiali del comparto, ruolo che spettava in Italia alla Cesaro Mac.Import di Jesolo (Venezia), dagli anni ’80 era impegnata nel campo delle macchine per discarica e trattamento dei rifiuti e dalla fine degli anni ’90 importatrice ufficiale dei prodotti Doppstadt. Macchine, queste ultime di consolidata tradizione ed elevatissima qualità che avevano fatto breccia anche entro i confini nazionali, soprattutto per quanto riguardava la realizzazione e la gestione del compost.
Tornando invece ai trattori, di “arancioni”, in Italia se ne vedevano davvero pochi. Nel 2001 ne erano stati piazzati una decina. Un numero irrisorio se paragonato ai risultati di vendita dei ‘big’. Che non era assolutamente da imputare alla qualità delle macchine, davvero ineccepibile, quanto piuttosto a una gamma che presentava troppi buchi, a prezzi non certo concorrenziali e a una rete di vendita che ai tempi era ancora da mettere a punto. Nel 2002 però il cambio di rotta: la serie Trac sarebbe stata lanciata in quattro differenti versioni (80, 100, 130 e 180) con potenze comprese tra i 70 e 180 cv, aggiornate nella linea e nelle prestazioni, con un utilizzo che poteva tranquillamente spaziare dal campo aperto alle attività aziendali, per arrivare alla manutenzione urbana e ai servizi pubblici.
La meccanica del Doppstadt Trac 80 Systra. Motrici, sterzanti e isodiametriche.
Il modello testato dalla rivista Trattori nel 2002 era il Trac 80 Systra, ovvero la versione d’attacco della serie. Che, come i fratelli maggiori (che la nostra testato aveva trattato qualche tempo prima, analizzando i 160) nasceva e si sviluppava da un concetto tecnico innovativo. Si era voluto dar vita a un mezzo polifunzionale estremamente facile da utilizzare e, soprattutto, capace di destreggiarsi su qualsiasi terreno e con tutti i tempi atmosferici. Da qui, l’utilizzo di soluzioni tecniche, mirate a enfatizzare la versatilità d’impiego, quali la trasmissione idrostatica a variazione continua della velocità d’avanzamento, le quattro ruote isodiametriche sterzanti e la cabina centrale ad alta visibilità.
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Un vero e proprio trasformista
Il termine generico di ‘porta attrezzi’ diviene dunque riduttivo per una macchina capace di assumere, di volta in volta, la configurazione più congeniale alla lavorazione richiesta. Proprio la sua dote migliore, l’essere cioè un veicolo dai mille volti, rappresenta, per contro, forse il limite principale alla diffusione del Systra in Italia. Vuoi per il diffuso scetticismo verso le macchine multi-funzione, che incuriosiscono ma non convincono. Vuoi per i prezzi d’acquisto (come già accennato) decisamente elevati, anche se in buona parte giustificati da contenuti tecnici di prim’ordine.
La struttura portante è costituita da un telaio monoblocco di acciaio in grado di sopportare tutte le sollecitazioni cui è soggetta la macchina in fase di lavoro. Su di esso sono fissati i due assali, la cabina di guida, isolata tramite silent-block, e il propulsore. Quest’ultimo è un Deutz 4 cilindri turbo da 70 cavalli di potenza massima a cui fa eco una coppia di 22,2 chilogrammetri. In sintesi, un’unità non modernissima ma che garantisce comunque gli standard di qualità del marchio tedesco: in termini di affidabilità, durata, insensibilità agli sbalzi termici, facilità d’intervento e lunghi intervalli di manutenzione. Erano stati ridotti anche i consumi, nell’ordine dei 154 grammi di gasolio per cavallo all’ora, e i livelli di emissione allo scarico.
Telaio monoblocco per resistere a tutto: la soluzione Doppstadt
Al motore del Doppstadt era collegata una trasmissione di tipo idrostatica, coadiuvata da un cambio meccanico a due stadi, di cui uno lento per le lavorazioni e uno veloce per i trasferimenti. La selezione poteva avvenire sotto carico, così come il cambio di direzione, effettuabile in movimento grazie all’inversore elettricoidraulico posto sul bracciolo destro del sedile di guida. Guidare il Systra era dunque semplicissimo: bastava girare la chiave, innestare la direzione e dare gas; non c’erano frizioni da premere né leve di gamme o marce da impostare.
La stabilità era ottima, grazie alla ripartizione in parti uguali delle masse sui due assali. Posteriormente, il Systra montava un sollevatore standard dalla capacità di 3.000 kg e tre distributori idraulici a doppio effetto. Disponibili come optional anche un sollevatore anteriore da 1.860 kg e due distributori, sempre a doppio effetto, o una robusta piastra, misura 3 e 5, facilmente removibile. Erano numerose anche le attrezzature accoppiabili, dai normali accessori per la lavorazione del terreno alle speciali configurazioni forestali.
Il Deutz serie 1011 che equipaggiava il Systra era uno dei motori più originali della produzione mondiale. La caratteristica peculiare risiedeva nel sistema di raffreddamento integrato. Lo scambiatore, essendo interno, faceva corpo unico con il gruppo termodinamico
La cabina. Vale quella di un big
Realizzata praticamente solo in vetro ad eccezione dei quattro montanti e del tettuccio, la cabina del Systra offriva comfort e abitabilità da vero big. Ne erano la prova le dimensioni davvero generose, che consentivano la presenza di uno strapuntino imbottito per un eventuale passeggero. L’accesso era facilitato da due ampie portiere e, una volta all’interno, ci si rendeva subito conto di come la visibilità fosse pressoché totale sui quattro lati. Buona anche l’insonorizzazione e l’assorbimento delle vibrazioni, grazie ai quattro silent-block posti tra telaio e abitacolo.
Il cruscotto, un po’ingombrante era di tipo digitale e incorporava il selettore delle modalità di sterzo e le varie spie di livello e controllo. Sarebbe stato tutto perfetto, se non fosse che costava in versione base, 49mila euro. Ai tempi spendere una cifra del genere per un 70cv non era cosa di tutti i giorni. Anche se Fendt, per il suo F 370Gt, chiedeva ancora di più.