120 milioni di euro di danni per un totale di oltre 105.000 eventi, dislocati praticamente in tutta Italia, ma con una concentrazione maggiore tra Centro e Nord: a tanto ammontano i danni subiti dall’agricoltura italiana negli ultimi sette anni, ovvero nel periodo 2015-2021, a causa della proliferazione dei cinghiali. A riportarlo, nero su bianco, un’indagine svolta dall’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e presentata nel corso di un evento organizzato da Confagricoltura. A fronte di una popolazione di cinghiali stimata da ISPRA intorno al milione e mezzo al 2021 (con una proliferazione consistente), a crescere è stato anche il numero degli abbattimenti (o, nel gergo tecnico, “prelievi”), con circa 300.000 interventi all’anno (di cui 257.000 in caccia ordinaria e 42.000 in interventi di controllo faunistico).

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Sono numeri che fanno riflettere quelli rilasciati dall’ISPRA – ottenuti consultando oltre 700 documenti e relazioni tecniche, poi armonizzate per ottenere un sistema omogeno di raccolta dei dati – e che mettono in luce una situazione allarmante, non solo per il settore agricolo e zootecnico (su cui gravava anche il pericolo della peste suina africana da cui alcuni cinghiali erano affetti), ma anche per l’incolumità delle persone, come i fatti di cronaca continuano a mettere in evidenza. Tanto da spingere il Governo a correre ai ripari, inserendo nell’ultima travagliata Legge di Bilancio un’apposita norma dedicata proprio al controllo della proliferazione della fauna selvatica tramite abbattimenti mirati, di concerto tra Regioni, Province e enti territoriali (con la modifica dell’art.19 della legge 157/1992).

Cinghiali, le regioni più colpite

Nel periodo preso in esame, gli importi annuali dei danni all’agricoltura sono oscillati tra 14,6 e 18,7 milioni di €, con una media annuale pari a oltre 17 milioni di €. Le regioni più colpite dai danni da cinghiale sono risultate Abruzzo e Piemonte con, rispettivamente, circa 18 e 17 milioni di € nel periodo considerato. Altre tre regioni hanno fatto registrare oltre 10 milioni di € di danni: Toscana, Campania e Lazio. Solo nella Provincia Autonoma di Bolzano non si rilevano danni all’agricoltura, in relazione alla distribuzione ancora molto limitata del cinghiale in questo contesto.

Il controllo della proliferazione della fauna selvatica. Con l’incognita della pesta suina

Nei sette anni dello studio l’86% degli abbattimenti di cinghiale (circa 1,8 milioni di animali) è avvenuto in attività di caccia ordinaria e il restante 14% (circa 295.000 animali) in attività di controllo faunistico. Il 30% del prelievo totale (circa 630.00 mila animali) è stato realizzato in Toscana e sono sette le regioni che hanno prelevato oltre un milione di animali nel periodo 2015- 2021 (Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte, Lazio, Umbria, Liguria e Marche), per un complessivo 73% del prelievo totale.

L’abbattimento in caccia è stato realizzato per il 94% in territorio pubblico e solo il 6% in riserve di caccia private. La tecnica di caccia più utilizzata in Italia rimane la braccata con cani da seguita (88% degli animali prelevati), seguono il tiro selettivo da appostamento (9%), la girata (2%) e la caccia vagante (1%). Questo tipo di prelievo è risultato all’incirca paritetico tra i sessi (51%maschi e 49% femmine), mentre è risultato sbilanciato per quanto riguarda l’età, con il 60% di adulti tra gli animali abbattuti e i restanti di meno di un anno.

Il 38% dell’attività di controllo faunistico stata realizzata all’interno delle aree protette nazionali e regionali, la restante parte (circa 184.000 animali) in territorio non protetto. La tecnica più utilizzata per il controllo è stata il tiro selettivo (52%), seguita da cattura (31%), braccata (11%) e girata – tecnica condotta con l’uso di un unico cane che segnala la traccia dei cinghiali – (6%). Complessivamente il 36% degli importi (circa 30 milioni di €) per danni da cinghiale è riferito alle aree protette nazionali e regionali, la restante parte (circa 89 milioni di €) ad aree non protette.

“Questo costante aumento del fenomeno su scala nazionale – si legge alla fine della nota dell’ISPRA – richiede l’adozione urgente di una strategia di intervento nazionale disegnata sulla base delle più aggiornate conoscenze scientifiche, che integri interventi di prevenzione dei danni e di contenimento delle popolazioni, e che assicuri prelievi selettivi e pianificati coerentemente con l’obiettivo prioritario di riduzione dei danni. Elemento chiave di una strategia di gestione del cinghiale è la creazione di un sistema omogeneo di raccolta dei dati a scala nazionale, che integri anche le informazioni relative agli interventi di prevenzione e agli incidenti stradali, e renda possibile monitorare l’andamento della gestione in tempo reale”.

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