Caron, estro italiano. Il ruolo dei motori nei transporter. L’intervista a Andrea Caron
Un produttore, tra i primi al mondo in fatto di transporter, che si distingue per i guizzi di creatività nel design e per la competenza tipicamente veneta, applicata in maniera rigorosa e funzionale. Ne abbiamo parlato con il titolare, nonché fondatore
È lo stesso Andrea Caron, titolare dell’azienda che ne porta il nome, a introdurci nella storia dell’Oem vicentino. «Nata come officina meccanica nel 1960, Caron si è distinta nel tempo come uno dei più importanti marchi produttori di transporter, creando una gamma di veicoli, ad uno e a due posti, che si distinguono per versatilità, prestazioni e possibilità di personalizzazione, con una forte attenzione al comfort e alla sicurezza di chi guida: mezzi robusti e allo stesso tempo leggeri, in grado di rispondere ad ogni esigenza dei settori quali quello agricolo, forestale, edile e comunale. In due parole: Agile capacity».
Poliedrica, come i mezzi che ne portano il nome, Caron conserva una forte impronta made in Italy. E sotto ai cofani, quali sono le scelte e le prospettive? Prendiamo spunto dalla relazione tecnico-commerciale con Kohler. Come si è sviluppata? Cosa più apprezzate del KSD, Diesel of the year2022?
«La collaborazione è iniziata in modo del tutto naturale a seguito della loro acquisizione della Lombardini, che dagli Anni ’70 era già uno dei nostri principali partner per i motori, in particolare per le potenze fino ai 31-44 chilowatt (50-60 cavalli). L’avvento di Kohler ha portato importanti investimenti sia sulle infrastrutture dell’azienda che sul prodotto ed i primi risultati si erano già visti con il KDI. A proposito del KSD, siamo stati tra i primi a ricevere i prototipi e ne abbiamo subito apprezzato la compattezza e la coppia».
«Inoltre è un motore tecnologicamente all’avanguardia nella sua categoria ma che permette di essere alimentato sia con i diesel a basso contenuto di zolfo che con i nuovi carburanti Hvo, ma anche con gasolio tradizionale. Il fatto di accettare anche diesel non particolarmente ‘raffinati’, unito alla possibilità di esprimere la piena potenza nei paesi in cui non è richiesta l’omologazione Fase V, lo rende molto interessante anche per i mercati extraeuropei».
VM Motori è un vostro storico sodale. Quali sono le caratteristiche che vi hanno legato a Cento?
«Sì, anche con VM abbiamo un rapporto di lunga data. Attualmente montiamo 4 loro modelli dai 51 ai 100 chilowatt (70-136 cavalli). I nostri veicoli sono costruiti principalmente per lavorare su forti pendenze e poniamo grande attenzione sull’altezza del baricentro e sulla ripartizione delle masse. Montiamo i motori a sbalzo anteriormente appunto per bilanciare i carichi sull’asse posteriore, ma così facendo il propulsore viene a trovarsi coperto dalla cabina, al centro tra il guidatore ed il passeggero».
«Un layout che impone delle scelte. Ciò ci pone dei vincoli stringenti sugli ingombri e quindi le dimensioni e la flessibilità che ci ha dato VM nell’installazione dei loro propulsori, in particolare per quanto riguarda l’alloggiamento dei vari dispositivi di trattamento dei gas di scarico è stata sicuramente fondamentale. Poi i VM, storicamente, si sono sempre distinti per avere un alto valore di coppia disponibile sin dai bassi regimi ed anche questa è una qualità molto importante quando si opera sui pendii».
Quali altri fornitori motoristici nel palinsesto di Caron?
«Stiamo testando Kubota, ma non posso ancora dire molto altro sul punto. Come vedete le variabili dell’elettrificazione sulle vostre applicazioni: state indagando il full electric o avete in pancia delle soluzioni ibride? In vario modo, un po’ tutti i costruttori di motori stanno già sviluppando delle versioni ibride e perciò non avrebbe senso per noi investire nel progettare una ns propria tecnologia. Siamo in attesa di poter valutare le loro proposte. Stiamo invece affrontando il tema del full electric per cercare di capirne le potenzialità, i costi ed anche le implicazioni da un punto di vista produttivo».
Idrogeno: chimera, idea in divenire o troppo eccentrica per i vostri transporter?
«L’idrogeno è molto allettante. Ti fa pensare all’uscita di semplice vapore acqueo dagli scarichi, al green per eccellenza. I motoristi poi dicono che, dai primi test, già gli attuali propulsori, con piccole modifiche, sembrerebbero adatti. Ma rimane il grande problema della sicurezza. Per garantire un’autonomia paragonabile al diesel si calcola occorra 5,5 volte il volume dei serbatoi attuali con idrogeno pressurizzato a 700 bar. Non riesco a pensare di avere a bordo carburante altamente infiammabile immagazzinato a quelle pressioni su macchine soggette a continue sollecitazioni, al rischio di urti o anche di ribaltamenti lavorando su forti pendenze. Per ora sono quindi perplesso sull’utilizzo dell’idrogeno allo stato puro per alimentare i transporters».
L’opzione gas/biometano potrebbe avere senso?
«Francamente finora non abbiamo mai ricevuto richieste per alimentare nostri mezzi con questi carburanti. Mentre sentiamo parlare sempre più di frequente degli HVO. Penso che nei prossimi anni ci saranno sempre maggiori investimenti sia per lo sviluppo di nuovi carburanti sintetici alternativi che di batterie più performanti e meno dipendenti dall’utilizzo di materie rare. Perché probabilmente non ci sarà una unica tecnologia vincente sulle altre, ma coesisteranno soluzioni diverse a seconda della potenza e della destinazione d’uso del veicolo».